Premessa: abbiamo piacere a pubblicare l’articolo RIVISITARE IL SISTEMA DELLE RSA di Antonio Perruggini che oltre ad essere in Puglia, il Presidente dell’Associazione di categoria Welfare del Levante, è Membro del Gruppo di Lavoro Sanita e Salute del Comitato Scientifico della Fondazione Democrazia Cristiana.
Durante la pandemia Covid19 abbiamo letto e sentito, almeno nei primi sei mesi, storytelling davvero inquietanti degli operatori delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), che come è noto sono state introdotte in Italia a metà degli anni novanta; sono strutture non ospedaliere, ma comunque a impronta sanitaria, che ospitano per un periodo variabile, anche a tempo indeterminato, persone non autosufficienti, che non possono essere assistite in casa e che necessitano di specifiche cure mediche di più specialisti e di un’articolata assistenza sanitaria. In queste strutture accanto alle terapie, sono previste attività ricreative da parte di animatori, per stimolare e mantenere attivi l’intelletto e la creatività degli ospiti. I racconti in TV e sui giornali da parte degli operatori sanitari e non solo, hanno evidenziato un totale abbandono delle strutture delle RSA, da parte della maggior parte delle Regioni e delle ATS (Agenzie di Tutela della Salute), a fronte di un grande impegno e sacrificio degli operatori di queste strutture nell’affrontare l’emergenza con i pochi mezzi disponibili. Durante la prima fase della pandemia finalmente l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato il suo Report “Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali assistenziali” con un campione delle RSA censite (577), di cui il 24% situate della Lombardia. Sono state riportate le principali criticità riscontrate dagli operatori sanitari. Perruggini dà un contributo utile ai Politici che dovrebbero prendere decisioni nel settore delle RSA, in particolare, all’Assessore alla Sanità della Regione Puglia, per le soluzioni a queste criticità che riassumiamo: mancanza di Dispostivi di Protezione Individuale, la principale sin dall’inizio; assenza di personale sanitario; difficoltà nell’isolamento; scarsità di informazioni sulle procedure da attuare per contenere le infezioni; carenza di farmaci; difficoltà di trasferire i pazienti Covid-19 in strutture ospedaliere; l’impossibilità ad eseguire i tamponi fino a pochi mesi fa! Nelle Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili” si leggeva e si legge che
“gli anziani ospiti in RSA non venivano e non vengono ricoverati in rianimazione”.
Anche in Italia per un buon numero di mesi abbia assistito alla “politica dello scarto” che Papa Francesco ha sempre denunciato pubblicamente. Da pochi mesi finalmente il Ministro della Salute Speranza ha istituito una Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, e siamo particolarmente lieti che sia stato nominato per dirigerla, Mons. Vincenzo Paglia al quale auguriamo di riuscire in questa complessa opera di rivisitazione e proposte di cambiamento, se come ci auguriamo, sarà circondato da persone altamente competenti e con valori etici, che non trascurino anche i valori Cristiani e, tra queste persone, con siffatte qualità, abbiamo segnalato l’esperto Antonio Perruggini, che ci auguriamo possa essere chiamato a farne parte, per offrire il suo servizio volontario senza compensi.^
RIVISITARE IL SISTEMA DELLE RSA di Antonio Perruggini.
Il dato inerente i decessi avvenuti nelle RSA a causa del Covid 19 è universalmente e tristemente noto. Secondo l’OMS il 50% dei decessi è avvenuto all’interno delle strutture residenziali per variegati motivi e la maggior parte dei quali sono riconducibili alla mancanza di DPI, a requisiti strutturali inadeguati e alla carenza di quelli organizzativi essendo le RSA per loro natura luoghi di lungo assistenza e non certo reparti abilitati e competenti per contenere malattie infettive e men che mai un pandemia. L’ulteriore fattispecie riguardante i tempi di contenimento concreto della pandemia non sono brevi e anche dopo la somministrazione dei vaccini e del perfezionamento di protocolli terapeutici efficaci, occorrerà molto tempo per gestire con ordine e sicurezza la situazione all’interno delle strutture extraospedaliere che fino a prima dell’emergenza rappresentavano una soluzione appropriata e “protetta” per i casi bisognosi di assistenza socio sanitaria non eseguibile a domicilio. In tale ottica vi è la necessità di adottare con urgenza procedure mirate a rivisitare la gestione ordinaria e quella dell’emergenza nelle RSA attraverso misure che da un punto di vista normativo, strutturale, organizzativo, tecnologico ed etico consentano la indispensabile presa in carico e la continuità assistenziale delle persone affette da patologie invalidanti o comunque compatibili con la definizione di “non autosufficienza”. All’uopo, il settore socio sanitario territoriale in Italia (ma anche in prospettiva internazionale), rappresenta comunque una grande opportunità di sviluppo e al tempo stesso una sfida epocale che il servizio pubblico non può più trascurare, al fine di adottare strategie efficaci alla relativa presa in carico del bisogno di salute della popolazione. Sempre l’OMS riferendosi all’Italia parla di un Paese che già in questo momento ha circa il 20% della popolazione ultra sessantacinquenne e pertanto non dare una risposta appropriata da offrire al territorio sarebbe abbastanza grave per il nostro futuro economico e sociale. In tale prospettiva e con la cognizione su quanto avvenuto occorre incidere sull’articolato normativo in vigore che è condizionato fondamentalmente dalle autonomie regionali in tema di gestione della sanità e rivisitare quindi la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 affinchè sia lo Stato il vero garante del diritto alla Salute assicurando l’erogazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) senza che gli stessi possano essere mortificati nella loro adozione da interpretazioni o normative regionali che allo stato si rivelano in distonia con un necessario processo armonico del sistema bisognoso invece di superare l’autonomina legislativa di ogni regione. Tale fattispecie ha causato di fatto differenze e discriminazioni nell’ambito della gestione dell’esigenza di salute su ogni territorio, dando vita a 20 sistemi diversi, spesso eccessivamente complessi e conseguentemente incuranti verso la loro primaria dedica che deve essere rivolta alla persona esaltando la sua Centralità. Tale oggettiva criticità va valutata anche sotto il punto di vista economico che solo per il contenzioso che ne deriva a causa della confusione e della differente interpretazione delle norme costa al SSN oltre 200 milioni di Euro all’anno. Pertanto occorre che sia lo Stato attraverso le sue articolazioni parlamentari a stabilire Leggi e criteri di gestione della salute pubblica su tutto il territorio nazionale a cominciare dalle normative dedicate ai fabbisogni territoriali di assistenza, all’autorizzazione e all’accreditamento delle strutture che devono essere omogenee su tutto il territorio e per qualsiasi gestore sia pubblico che privato accreditato, uniformando al tempo stesso i requisiti organizzativi, tecnologici e strutturali. Invece alle Regioni andrebbero lasciati gli obblighi di monitoraggio e ispettivi relativi alle indicazioni normative nazionali. In tale ottica lo Stato avendo cura di valutare comunque gli esempi virtuosi e le best practices in essere potrà disporre l’adozione di misure atte a consentire una uniforme offerta di assistenza con l’indicazione di servizi e tariffe uguali per tutti. Ma vi può essere di più. Con una visione generale, competente e uniforme del sistema si potrebbero rivisitare ragionevolmente le procedure di assegnazione degli ausili protesici allo stato assicurate universalmente e non su base Isee andando a incidere su innumerevoli fattispecie ove lo Stato interviene comunque a sue spese (garantendo centinaia di milioni di Euro) pur in presenza di situazioni reddituali oggettivamente capaci di far fronte a tali necessità. L’associazione della rivisitazione normativa a cominciare dal Titolo V della Costituzione al contenimento della spesa pubblica di cui all’esempio sopra descritto che naturalmente può rendersi esponenziale su varie altre fattispecie (es. adozione anche dei LEA su base Isee con individuazione di appropriata soglia) dovrà rendersi ancora più virtuosa con un aumento consistente delle risorse che potrebbero dedicarsi all’utilizzo di nuove tecnologie (intelligenza artificiale, telemedicina) e alla formazione delle professionalità socio sanitarie, aumentando il loro numero e uniformando le retribuzioni sia nel pubblico che nel privato accreditato attraverso accordi “quadro” condivisi con le parti sociali. Al tempo stesso abbiamo visto proprio con il fenomeno pandemico che l’utilizzo delle tecnologie ritenuto “utile” prima della emergenza, si è rivelato oggi indispensabile. La necessità di perfezionare indefinite procedure al servizio del cittadino tramite la rete si è scoperta all’improvviso fattibile nel rispetto dei concetti base inerenti le esigenze umane di assistenza che una volta non eseguibili per le vie ordinarie, “costringono” il sistema delle organizzazioni a adeguarsi finalmente a quanto viene sollecitato da anni a livello mondiale dai vari esperti di tecnologie e comunicazione e già in corso in altri Paesi. Pertanto anche in prospettiva dell’emergenza in atto l’innovazione delle procedure normative statali e regionali e la “rete” sono la strada obbligata per la governance pubblica dell’assistenza alla persona. Tali nuove procedure dedicate consentiranno altresì un aumento stabile dell’occupazione nel settore e tale integrazione rappresenta un ulteriore valido strumento di contrasto alla crisi economica a disposizione della governance pubblica, proprio attraverso una nuova cultura di gestione della stessa che sappia analizzare in un’ottica più efficace i bisogni del territorio in senso generale e lo sviluppo economico-sociale. La gestione della domanda di salute e la qualità dell’assistenza territoriale costituivano già prima dell’emergenza seppur senza un grande successo, un argomento stabile negli intendimenti della Comunità Internazionale e quindi è indispensabile attuare strategie in grado di innovare il settore socio sanitario, esaltando il valore della Persona, la sua Centralità e il suo Patrimonio di esperienze e competenze che devono rappresentare l’humus in seno agli stakeholders, Medici di Base e infermieri in primis, addetti alla concretizzazione dei protocolli sanitari e di umanizzazione da dedicare al contrasto alla non autosufficienza. Al settore infermieristico andrebbe rimosso l’obbligo di rapporto esclusivo attualmente previsto dalle normative in vigore affinchè agli stessi posa essere data la possibilità di svolgere prestazioni professionali extra contrattuali così come ora avviene per i Medici. Pertanto solo consentendo un reale cambiamento del sistema welfare, attraverso una nuova visione del disagio, sapremo preparare già da ora anche le future generazioni alla gestione della non autosufficienza in armonia con le esigenze di sicurezza, efficacia, qualità, accessibilità, economia e umanizzazione delle cure e dei servizi. La acclarata longevità e le aspettative di vita, ampiamente cresciute e destinate a confermarsi nei prossimi decenni, pongono un problema importantissimo del territorio socio sanitario, per cui un modello organizzativo efficace è la strada maestra per chiunque abbia responsabilità di prevenzione, programmazione e cura in favore delle Persone, ai fini della riduzione drastica delle situazioni di fragilità sociale e criticità sanitaria. Una tempestiva e adeguata pianificazione e il confronto con le “best practices” consentirebbero un’ efficace analisi del bisogno e un monitoraggio più accurato della valenza dei servizi applicati, escludendo quelli da evitare e ottimizzando quelli in essere con il supporto delle tecnologie adeguate. È fondamentale quindi investire ingenti risorse per gestire telematicamente i percorsi di assistenza socio sanitaria territoriali (ma non solo) e tale innovazione consentirà oltre a plurimi vantaggi organizzativi anche il contenimento delle cure improprie, delle ospedalizzazioni facendo crescere la fiducia verso i servizi pubblici e all’interno delle strutture pubbliche e private accreditate, ove la formazione e l’aggiornamento devono rappresentare altresì un altro punto cardine – oltre che un obbligo delle attività di ogni settore. Così si favorirà la sicurezza socio sanitaria della Persona e si potranno attuare attività concentrate, oltre che sulle questioni puramente sanitarie, anche su altre fondamentali per la necessaria affermazione dei protocolli di prevenzione rendendoli operativi già dalla scuola dell’obbligo, come l’attività fisica e la corretta alimentazione per esempio, poichè anche attraverso uno stile di vita corretto si opporrebbe un concreto contrasto alle patologie più comuni in essere, alla spesa farmaceutica e di assistenza in generale ponendo al tempo stesso il cittadino in una ottica non solo di “diritto alla salute” ma di “dovere verso il rispetto del medesimo diritto” attraverso l’osservanza delle indicazioni stabilite da consolidati protocolli scientifici. L’auspicio è che il tema della Centralità della Persona, nell’ambito di una non più rinviabile rivisitazione profonda del sistema di assistenza, possa intendersi quale “sigillo granitico” tra la valorizzazione del capitale umano e l’integrazione socio-economica di esso nel territorio, attraverso l’adeguata offerta di una serie di servizi che, gestiti attraverso la rete e diversificati in base alle esigenze, siano in grado di demolire o contrastare efficacemente un disagio. L’inevitabile successo di tale sistema, basato altresì sul determinante senso del dovere e sulla competenza di ogni attore, consentirà in primis alla Persona di ottenere l’adeguato sostegno in favore della soluzione del problema e l’indispensabile orientamento verso la fruizione del servizio più appropriato alle sue esigenze. L’eccellenza si fonderà dunque sul sostegno di una innovativa impostazione culturale, normativa e organizzativa che ridisegna il sistema di assistenza garantendo l’esercizio della libertà di scelta.
Antonio Perruggini, Presidente Associazione Welfare a Levante
^ A cura del Prof. Antonino Giannone, Presidente Comitato Scientifico della Fondazione Democrazia Cristiana.