La “sfida etica” per i Millennials e la classe dirigente della società della globalizzazione nell’era digitale.
di Antonino Giannone^
L’era digitale in cui stiamo vivendo è un periodo decisamente tormentato. Le tecnologie che adoperiamo sono mutate rispetto a qualche decennio fa e i cambiamenti che queste hanno portato non sono stati affrontati sempre con tempestività. Le imprese si trovano al centro di questo processo di evoluzione e cambiamento continuo. Sfide diverse si presentano alla società e per questo è necessario trovare nuovi modelli organizzativi, nuove strategie e nuovi modi di pensare per affrontare il mercato. Bisogna saper prendere decisioni per raggiungere specifici obiettivi. Senza piani strategici le aziende restano fragili. In questi contesti, i codici etici assumono capitale importanza. Il rispetto di valori etici come l’onestà, la trasparenza, la giustizia, la moralità è dovuto non solo dai dipendenti, ma dall’intero management.
Servirebbe un recupero dell’Etica, che, nella società della globalizzazione e dell’era digitale, è spesso venuta meno in ogni professione e attività, in particolare si sente una grande necessità di recuperare i valori della responsabilità etica in politica, nell’esercizio della governance pubblica. Bisognerebbe riscoprire i principi e i comportamenti ispirati dalle virtù umane, tramandate, sin dai tempi antichi, dai grandi filosofi greci e latini e, poi, dai pensatori moderni e contemporanei. I Giovani Millennials che si accingono a diventare classe dirigente dovrebbero apprendere e imparare i valori fondamentali e fondanti dell’uomo, che hanno caratterizzato la sua storia, per ridurre il degrado delle relazioni sociali ed economiche nella società globalizzata, dove prevale la spietata logica del più forte, quella dell’avere rispetto all’essere. Purtroppo assistiamo, oggi, al fatto che senza alcuna selezione e accertamento dei requisiti minimi di competenze hard skills e soft skills che una persona dovrebbe possedere, chiunque, in virtù del consenso democratico elettorale, può accedere a incarichi di notevoli complessità e responsabilità istituzionali!
Per quanto riguarda il mondo delle Imprese, in particolare le multinazionali, è cresciuto enormemente il loro potere d’azione, finora parzialmente “addomesticato” con la politica dello Stato sociale del capitalismo. Con la globalizzazione, le imprese sono arrivate a detenere un ruolo chiave non solo nell’organizzazione dell’economia, ma anche in quella della società nel suo complesso. L’economia che agisce in maniera globale sgretola i fondamenti degli Stati-Nazione e della loro economia nazionale. Il potere delle imprese internazionali si fonda sulla possibilità di esportare i posti di lavoro dove ciò è più conveniente, cioè sulla delocalizzazione del lavoro che talvolta, in Italia, ha svuotato Distretti produttivi che erano stati costruiti in molti decenni.
Negli ultimi anni, il concetto di etica sembra stia ritornando all’attenzione e protagonista non formale nel dibattito economico e della formazione della classe dirigente. Sempre più spesso si usano espressioni come finanza etica, commercio etico, etica degli affari, e tutte le maggiori aziende internazionali si sono dotate di un codice etico, che purtroppo, in molti casi resta solo un orpello di facciata. Fa da contraltare a questa apparente “eticizzazione” dell’economia una crisi gravissima, interpretabile anche come la conseguenza e il frutto di comportamenti eccessivi e spregiudicati da parte di alcuni operatori economici. La spiegazione di questo paradosso potrebbe risiedere nel fatto che la domanda di comportamenti etici è una reazione e, appunto, una prevedibile risposta alla crisi attuale, ma anche che la professione di eticità sia in questa fase un mero strumento di marketing usato per mascherare e giustificare comportamenti che, nella sostanza, continuano a essere tutt’altro che etici. L’eredità spirituale dell’ultimo conflitto mondiale, ma anche dei tanti conflitti locali che continuano da decenni, dimostra che l’etica si fonda più che sulle buone intenzioni sull’assumersi pienamente le proprie responsabilità verso gli altri, verso i più deboli che nei conflitti di guerra e sociali pagano le più alte conseguenze. L’etica è, innanzitutto, un problema di assunzione in prima persona di responsabilità verso una collettività. Ne consegue, in scenari apparentemente di “pace”, che l’economia che regola gli scambi tra collettività di attori, tanto a livello di impresa che di interi sistemi economici, possa essere un campo privilegiato per lo svolgimento di un discorso etico.
A livello di impresa, può essere opinabile e non oggettivamente misurabile determinare se e quanto una certa azienda, nel suo complesso, sia etica. L’etica dell’impresa può essere vista come il prodotto dei valori che tengono insieme il gruppo di tutti gli interessati, dagli stakeholders, ai dipendenti, ai sindacati, agli enti locali, ai cittadini del territorio, si pensi a casi emblematici in Italia come ex ILVA di Taranto, Alitalia e numerosi casi aziendali che, con l’attuale fase di recessione economica post Coronavirus19, soffrono per la loro sopravvivenza, . L’implicazione operativa per i tutti i membri dell’impresa, e soprattutto per il Top Managerment, è che da un lato i valori devono essere chiaramente definiti e comunicati, e, dall’altro, che la devianza dai principi deve essere esplicitamente sanzionata anche se ciò avvenisse a discapito del ritorno economico a breve termine.
E’ certamente una buona notizia che recentemente 200 Ceo della Roundtbale Association, negli Stati Uniti d’America, hanno sottoscritto una dichiarazione che la valutazione di un Ceo, di un Top Manager non sarà fatta più per il raggiungimento dell’unico obiettivo: il Profitto, ma anche di obiettivi con alto valore etico: (es. rispetto dell’Ambiente; rispetto della dignità delle persone; non sfruttamento dei bambini sul lavoro; e altri).
A livello di intero sistema economico, se la diatriba teorica sulla eticità del principio del mercato versus altre forme di organizzazione economica tende ad apparire sterile, il focus del confronto dovrebbe piuttosto essere su quali meccanismi, regole e correttivi possano essere introdotti per migliorare il sistema rendendolo tangibilmente più giusto ed equo. Anche in questo caso, la riposta etica, a mio avviso, starebbe nel riconoscimento dei valori condivisi in cui una comunità locale, nazionale o internazionale si riconosce, e su cui ha deciso di fondare la propria vita civile e il proprio destino.
Troppo spesso si dimentica il ruolo fondante e preordinato rispetto agli aspetti economici che le dichiarazioni dei valori di libertà, uguaglianza e di ricerca della pace hanno nella nostra Carta Costituzionale o nella Carta Europea dei Diritti Umani (CEDU), e perfino in un documento che regolava solo transazioni squisitamente commerciali come il Trattato della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Andrebbero riletti e riproposti con il segno dei tempi, questi Valori e principi etici per raccogliere la “sfida etica” della globalizzazione al fine di ristabilire il primato delle regole, ritrovando il difficile ma imprescindibile equilibrio tra efficienza, equità, libertà e benessere.
^ Professore di Leadership and Ethics – Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione DC
A cura dell’Ufficio Stampa